Pubblicato il: 22-05-2022
Una consapevole comprensione del mito richiede un approfondito studio dell’Edda Poetica, raccolta di poemi in lingua norrena tratti dal manoscritto medievale islandese “Codex Regius”, capostipite di tutte le successive opere letterarie, anch'esse capaci di tramandare di generazione in generazione l'antico patrimonio culturale, nato a sua volta da un passaggio orale di conoscenze esente dal sussidio di veri e propri sistemi di scrittura, tuttavia non limitato ai soli territori scandinavi e germanici. E' fattuale che nel poema “Vǫluspá”, così come nel “Gylfaginning”, non è in alcun modo indicato quale dei due occhi Óðinn lascia in “pegno” nella leggendaria Fonte di Mímir. L'immagine della figura mitologica di Óðinn, che nell’“Ynglinga saga” lo Sturluson descrive quale “grande guerriero che aveva viaggiato in molti luoghi lontani e aveva conquistato molti regni” sennonché “capo” di “Asgard”, “città principale” del “paese a est del Tanasquil, in Asia”, “chiamato Asaland, o Asaheim” è difatti testualmente oggettiva. E' quindi palese la volontà dell'uomo di attribuire al mito, alla narrazione fantastica, valori simbolici, spesso religiosi? Una possibile distorsione della realtà testuale da parte di supposti esegeti o guide spirituali di turno, potrebbe potenzialmente portare alla nascita di nuovi culti, a proprio uso e consumo, in cui non più il mito, ma il dio Óðinn sacrifica il proprio occhio destro?